Il futuro del motore diesel
Imbattibile in termini di emissioni, rendimento e autonomia
Il passaggio dal NEDC al WLTP evidenzia consumi ed emissioni di CO2 più elevati. Il nuovo ciclo prevede infatti velocità di prova superiori rispetto al metodo precedente. I valori misurati sul banco di prova vengono verificati con dei sistemi di misura portatili o PEMS. In questo modo vengono messi fuori gioco i dispositivi di elusione. (Immagine: Mercedes-Benz)
se. Per le flotte di veicoli nuovi, il valore limite delle emissioni di CO2 (95 g/km) rappresenta un ostacolo quasi insormontabile. Per fare un confronto, basti pensare che nel 2019 le emissioni medie in Svizzera erano intorno ai 138 g/km, il che corrisponde a un consumo di 6 litri circa di benzina per 100 chilometri. Il motore diesel brilla per il suo rendimento elevato, vale a dire per il consumo parsimonioso di carburante, per il trattamento dei gas di scarico più evoluto nonché per una coppia notevole. E grazie all’innovazione continuerà a essere una propulsione importante per le autovetture e i veicoli commerciali.
I motori diesel convertono meglio l’energia chimica del carburante in calore. Di conseguenza, la pressione media dei cilindri è più elevata rispetto ai motori a ciclo Otto. Dall’introduzione del catalizzatore a tre vie in questi ultimi e del catalizzatore ossidante nella propulsione diesel le emissioni di sostanze nocive come il monossido di carbonio (CO) e gli idrocarburi (HC) non sono più un problema. Dato che il motore diesel lavora sempre in eccesso d’aria, la percentuale di entrambe le emissioni è praticamente pari a zero. E nel caso dei veicoli più moderni, cioè gli Euro 6 temp, queste sostanze non sono quasi più misurabili sul terminale di scarico.
Il diesel ha vinto anche la partita sul fronte del particolato. Sia i motori a ciclo Otto a iniezione diretta sia quelli diesel sono dotati di un relativo filtro. Dato che il diesel sovralimentato lavora con pressioni di compressione e combustione più elevate e una miscela più povera rispetto al benzina si producono più NOX per motivi intrinseci al sistema. Questi ossidi di azoto vengono drasticamente ridotti anche dai sistemi SCR (riduzione catalitica selettiva) e/o dai catalizzatori ad accumulo di NOx. Volkswagen ha presentato un nuovo processo a doppio dosaggio (vedi riquadro) che consente quasi di azzerare le emissioni. Grazie a due moduli di iniezione di AdBlue e a due catalizzatori SCR il motore diesel emette infatti una quantità di ossidi di azoto appena misurabile. Il tutto è coadiuvato da un ricircolo interno (incrocio) e/o esterno (attraverso la valvola e/o il radiatore EGR) dei gas di scarico.
Sul piano dei consumi, il motore diesel surclassa il motore a ciclo Otto grazie al potere calorifico leggermente più elevato del gasolio, al suo rendimento termico superiore e alla portata d’aria senza strozzature. La riduzione dei consumi comporta un calo proporzionale delle emissioni di anidride carbonica (CO2). Ma allora, perché i costruttori puntano tutto su tecnologie sofisticate come le ibride, le ibride plug-in e le elettriche BEV, che peraltro appesantiscono anche il veicolo? In soldoni, non è questione di rendimenti o soluzioni tecniche ottimali. Ciò che conta è far funzionare i veicoli per larga parte o esclusivamente in modalità elettrica (è il caso rispettivamente di ibride e BEV) quando vengono sottoposti al WLTP. In questo modo il consumo di energia fossile si riduce drasticamente (ad es. a 1,7 l/100 km per un SUV da 2,3 tonnellate). Inoltre, le emissioni di CO2 connesse all’energia elettrica vengono quantificate in 0 g/km sebbene il mix di fonti utilizzate per produrla in Europa sia tutto fuorché privo o povero di CO2.
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Le emissioni di anidride carbonica vengono poi calcolate come media dei modelli venduti. L’importatore che riesce quindi a vendere più BEV può continuare ad avere SUV con motori potenti nel suo mix di modelli.
Di conseguenza i costruttori (soprattutto quelli europei) devono rimontare rispetto alle case automobilistiche asiatiche, che in fatto di propulsioni sono anni avanti. È giocoforza che investimenti e personale vengano tolti ai motori a combustione e fatti convergere sulle propulsioni elettriche. Da ciò deriva anche il taglio di 10 000 posti di lavoro in Germania, il paese dell’automobile per antonomasia. Alcuni OEM europei hanno persino sospeso temporaneamente lo sviluppo dei motori a combustione.
Nell’arco dell’anno si vedrà se il mercato e quindi i clienti si butteranno o meno sui costosi BEV. Una cosa è certa: i sostenitori dei veicoli elettrici a batteria minimizzano la questione dell’autonomia. Sulle lunghe distanze i BEV non hanno vita facile. Anche quando si fermano a una stazione di ricarica veloce il «rifornimento» dura almeno mezzora. Anche in questa disciplina il motore diesel sbaraglia la concorrenza. La densità energetica del gasolio è talmente alta che consente di percorrere tranquillamente 1200 km con un pieno di 60 litri di carburante. Fare rifornimento, poi, è questione di pochi minuti.
Le batterie elettriche sono adatte soprattutto ai veicoli leggeri e piccoli e agli spostamenti brevi. Dal punto di vista ambientale, però, non è ragionevole acquistare un BEV per le brevi distanze e un grande veicolo con motore a combustione per gli spostamenti a lungo raggio. Così si contrappesa il risparmio di CO2. Le emissioni connesse alla produzione e al riciclaggio pesano infatti due volte sul bilancio.
Anche nel caso dei veicoli commerciali, il motore diesel resterà a lungo la propulsione più gettonata. Non c’è infatti altra motorizzazione che regga il confronto in termini di carico utile. I BEV sanno farsi valere solo nella distribuzione di merci dato che non producono emissioni a livello locale. Un’alternativa interessante agli autocarri convenzionali sono i veicoli a gas liquefatto (GPL), a gas naturale/biogas (GNC) e a idrogeno (H2). Se si trattasse la questione del CO2 in un’ottica tecnica coerente si dovrebbe aumentare l’offerta di carburanti sintetici.
L’idrogeno prodotto per elettrolisi dell’acqua sfruttando i surplus di elettricità può essere trasformato (con l’aggiunta di CO2 nell’atmosfera) in composti di idrocarburi e quindi in carburanti sintetici liquidi tramite il processo Fischer-Tropsch. La mobilità diventerebbe così neutra in termini di emissioni di CO2, senza dover peraltro modificare l’infrastruttura di rifornimento né la tecnica dei veicoli. Purtroppo i carburanti sintetici costano attualmente CHF 2.20 circa, tasse escluse.
se. Gli ossidi di azoto sono considerati, insieme al particolato, il tallone d’Achille del propulsore diesel. Il filtro di ossidazione vicino al motore apporta ossigeno (O2) alle molecole incombuste del gasolio (composti di idrocarburi o HC) e al monossido di carbonio (CO da combustione incompleta). Gli HC bruciano e si trasformano in CO2 e acqua (H20), riscaldando il filtro antiparticolato FAP a valle e il catalizzatore SCR attraverso la post-combustione. Il FAP filtra il particolato e lo elimina tramite combustione. Con l’aggiunta di AdBlue (urea liquida) il catalizzatore SCR scompone i NOx in N2 e O2. Fino a oggi sono stati utilizzati solo un modulo di iniezione di AdBlue e un catalizzatore SCR. Alcuni costruttori hanno installato un secondo catalizzatore SCR passivo (catalizzatore bloccante) per utilizzare l’ammoniaca (NH3) che, iniettando AdBlue, si produce nel primo modulo per reazione con il vapore acqueo e che non viene usata per la conversione nel primo catalizzatore. L’ammoniaca così ottenuta viene impiegata nel secondo. Questa soluzione impedisce il rilascio di questa sostanza dal terminale.
I motori diesel sovralimentati con turbocompressore a geometria variabile (VTG) funzionano sempre in eccesso d’aria. Tutte le emissioni lorde vengono convertite tramite filtro o catalizzatore. Nell’immagine si vede il nuovo 2.0 TDI Volkswagen con 4 cilindri in linea da 110 kW/150 CV e con sistema twin-dosing per la Passat e la Nuova Golf 8.
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